LAURA DINI

LAURA DINI

 

 

 



Morfologia, biochimica e fisiologia cerebrale subiscono notevoli cambiamenti in risposta alla qualità e alla quantità dell'arricchimento ambientale (Bennet et al., 1969).

Gli studi sugli effetti che l'Ambiente Arricchito (AA) può indurre nell'organismo, prendono il loro avvio in seguito ad un'osservazione casuale da parte di uno dei più famosi scienziati che approfondirono il legame tra sistema nervoso e comportamento, lo psicologo canadese Donald Olding Hebb.

Hebb, infatti, dopo aver portato a casa un topolino di laboratorio come animaletto domestico per divertire i propri figli, osservò, riportandolo in laboratorio, che il topolino era divenuto molto più bravo degli altri ad eseguire compiti di memoria e apprendimento.

Questa osservazione, dette avvio ad una serie di studi che rilevarono effettivamente specifici effetti documentabili.

Per Ambiente Arricchito (AA) si intende un contesto nel quale si possano avere interazioni sociali, dove ci sia una continua stimolazione multisensoriale data da oggetti che siano in grado di invogliare verso l'esplorazione spaziale e la curiosità, esercitando così anche la memoria visiva e spaziale e promuovendo l'esercizio fisico volontario.

Gli effetti di un ambiente di questo tipo sono stati riscontrati in tutte le fasce di età a partire dalla fase prenatale e perinatale.

Nell'anziano e nell'adulto, per esempio, sono stati riscontrati miglioramenti nelle capacità cognitive, soprattutto per quanto concerne apprendimento e memoria. Nello specifico, è stato evidenziato un significativo aumento circa la velocità con la quale venivano apprese nuove informazioni, come pure la formazione di tracce di memoria più durature nel tempo. (van Praag et al., 2000).

Gli effetti scaturiti dall'esposizione ad un Ambiente Arricchito, inoltre, non solo si sono dimostrati eccellenti potenziatori di abilità cognitive nei protocolli sperimentali utilizzati con mammiferi adulti e anziani. La loro efficacia, infatti, è stata testata anche per quanto riguarda l'intero arco della vita, mostrando effetti straordinari già a partire dal periodo prenatale.

Durante la vita embrionale, infatti, l'esposizione ad Ambienti Arricchiti sperimentata sui primati, ha dimostrato avere un'azione terapeutica, attenuando le conseguenze deleterie di condizioni prenatali avverse, come forti stress precedenti il parto o dovute al parto stesso, riducendo o permettendo il completo recupero di danni da lesioni corticali perinatali ed aumentando gli scambi nutritivi dalla madre al feto attraverso la placenta (Cancedda et al., 2004). 

Inoltre, nella fase perinatale, ovvero immediatamente dopo la nascita, sono stati documentati effetti positivi a carico della corteccia motoria e osservabili attraverso il miglioramento di specifiche prestazioni comportamentali. L'analisi del comportamento materno, infatti, ha mostrato che, in condizioni di AA, i piccoli ricevevano un maggior livello di cure rispetto ai piccoli allevati in un ambiente standard (Sale et al., 2004b). 

Maggiori cure materne, a livello biochimico, induce nella prole la produzione di fattori vitali per lo sviluppo e nella madre si hanno benefici rilevabili attraverso l'allattamento.

Riassumendo, possiamo affermare dall'esito di questi studi che, condizioni ambientali arricchite, influenzano fortemente lo sviluppo del sistema nervoso e del comportamento, a cominciare dalla vita intrauterina e che, tali effetti, si estendano poi per tutto l'arco della vita potenziando velocità di apprendimento e il buon funzionamento della memoria. Tali evidenze scientifiche ci permetterebbero di osare ipotizzando che gli effetti scaturiti dall'Ambiente Arricchito possano costituire una buona riserva cognitiva e comportamentale contro specifiche patologie.

Bibliografia:

Bennet E.L.,Rosenzweig M.R. E Diamond, M.C. (1969), Rat Brain: Effect of environmental enrichmenton wet and dry weights, "Science"

Cancedda, L., Putignano, E., Sale, A., Viegi, A., Berardi, N. e Maffei, L.,(2004), Acceleration of visual system development by environmental enrichment, "J. Neurosci."

Sale, A., Putigliano, E., Cancedda,L., Landi,S., Cirulli, F., Berardi, N. e Maffei,L.,(2004b), Enriched environment and acceleration of visual system development, "Neuropharmacology"

van Praag, H., Kempermann, G. e Gage, F.H. (2000), Neural consequences of environmental enrichment, " Nat.Rev.Neurosci."



Morfologia, biochimica e fisiologia cerebrale subiscono notevoli cambiamenti in risposta alla qualità e alla quantità dell'arricchimento ambientale (Bennet et al., 1969).

Gli studi sugli effetti che l'Ambiente Arricchito (AA) può indurre nell'organismo, prendono il loro avvio in seguito ad un'osservazione casuale da parte di uno dei più famosi scienziati che approfondirono il legame tra sistema nervoso e comportamento, lo psicologo canadese Donald Olding Hebb.

Hebb, infatti, dopo aver portato a casa un topolino di laboratorio come animaletto domestico per divertire i propri figli, osservò, riportandolo in laboratorio, che il topolino era divenuto molto più bravo degli altri ad eseguire compiti di memoria e apprendimento.

Questa osservazione, dette avvio ad una serie di studi che rilevarono effettivamente specifici effetti documentabili.

Per Ambiente Arricchito (AA) si intende un contesto nel quale si possano avere interazioni sociali, dove ci sia una continua stimolazione multisensoriale data da oggetti che siano in grado di invogliare verso l'esplorazione spaziale e la curiosità, esercitando così anche la memoria visiva e spaziale e promuovendo l'esercizio fisico volontario.

Gli effetti di un ambiente di questo tipo sono stati riscontrati in tutte le fasce di età a partire dalla fase prenatale e perinatale.

Nell'anziano e nell'adulto, per esempio, sono stati riscontrati miglioramenti nelle capacità cognitive, soprattutto per quanto concerne apprendimento e memoria. Nello specifico, è stato evidenziato un significativo aumento circa la velocità con la quale venivano apprese nuove informazioni, come pure la formazione di tracce di memoria più durature nel tempo. (van Praag et al., 2000).

Gli effetti scaturiti dall'esposizione ad un Ambiente Arricchito, inoltre, non solo si sono dimostrati eccellenti potenziatori di abilità cognitive nei protocolli sperimentali utilizzati con mammiferi adulti e anziani. La loro efficacia, infatti, è stata testata anche per quanto riguarda l'intero arco della vita, mostrando effetti straordinari già a partire dal periodo prenatale.

Durante la vita embrionale, infatti, l'esposizione ad Ambienti Arricchiti sperimentata sui primati, ha dimostrato avere un'azione terapeutica, attenuando le conseguenze deleterie di condizioni prenatali avverse, come forti stress precedenti il parto o dovute al parto stesso, riducendo o permettendo il completo recupero di danni da lesioni corticali perinatali ed aumentando gli scambi nutritivi dalla madre al feto attraverso la placenta (Cancedda et al., 2004). 

Inoltre, nella fase perinatale, ovvero immediatamente dopo la nascita, sono stati documentati effetti positivi a carico della corteccia motoria e osservabili attraverso il miglioramento di specifiche prestazioni comportamentali. L'analisi del comportamento materno, infatti, ha mostrato che, in condizioni di AA, i piccoli ricevevano un maggior livello di cure rispetto ai piccoli allevati in un ambiente standard (Sale et al., 2004b). 

Maggiori cure materne, a livello biochimico, induce nella prole la produzione di fattori vitali per lo sviluppo e nella madre si hanno benefici rilevabili attraverso l'allattamento.

Riassumendo, possiamo affermare dall'esito di questi studi che, condizioni ambientali arricchite, influenzano fortemente lo sviluppo del sistema nervoso e del comportamento, a cominciare dalla vita intrauterina e che, tali effetti, si estendano poi per tutto l'arco della vita potenziando velocità di apprendimento e il buon funzionamento della memoria. Tali evidenze scientifiche ci permetterebbero di osare ipotizzando che gli effetti scaturiti dall'Ambiente Arricchito possano costituire una buona riserva cognitiva e comportamentale contro specifiche patologie.

Bibliografia:

Bennet E.L.,Rosenzweig M.R. E Diamond, M.C. (1969), Rat Brain: Effect of environmental enrichmenton wet and dry weights, "Science"

Cancedda, L., Putignano, E., Sale, A., Viegi, A., Berardi, N. e Maffei, L.,(2004), Acceleration of visual system development by environmental enrichment, "J. Neurosci."

Sale, A., Putigliano, E., Cancedda,L., Landi,S., Cirulli, F., Berardi, N. e Maffei,L.,(2004b), Enriched environment and acceleration of visual system development, "Neuropharmacology"

van Praag, H., Kempermann, G. e Gage, F.H. (2000), Neural consequences of environmental enrichment, " Nat.Rev.Neurosci."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

...A tutti capita prima o poi di cadere nella trappola

 

 

 

 

E quando mi accorsi di stare veramente male da dover cambiare qualcosa, ormai non sapevo più da dove cominciare. Niente mi dava più la stessa carica, la stessa gioia, avrei dato fuoco a tutto ciò che circondava la mia vita...”

 

 

Molte volte accade che, proprio la capacità di zittire i nostri bisogni, l'attenzione sulle cose o sui fatti piuttosto che su di noi e il lasciar correre, ci conduca in un vortice dal quale diventa difficile uscire ma, soprattutto, da dove diviene impossibile identificare come farlo.

Supponiamo di svegliarci una mattina con un po' di tosse. La maggioranza di noi, probabilmente, prenderebbe inizialmente i classici provvedimenti mirati a proteggere la parte interessata (la gola), come indossare una sciarpa o un foulard. Se questo poi non bastasse ad alleviare ciò che sentiamo (il sintomo), allora saremo costretti ad alzare il livello di attenzione ricorrendo, per esempio, all'uso di qualche medicinale da banco o, nei casi più gravi, recandosi dal medico curante.

Ma cosa accadrebbe se, invece, ignorassimo del tutto quel sintomo? Se non usassimo nessun accorgimento e nemmeno ci curassimo?

Se il mal di gola non fosse destinato a guarigione spontanea, allora, con molta probabilità, trascurare questa situazione farà sì che il disturbo permanga e che, col passare del tempo, possa addirittura aggravarsi, costringendoci ad accettare l'idea di non essere più in grado di risolvere la situazione da soli.

Allo stesso modo, trascurando i sintomi di un malessere psicologico, quasi sicuramente ci ritroveremo a convivere forzatamente e nel tempo con un disturbo, tanto da non essere più in grado di disfarsene da soli.

Giunti a questo punto, due sono le reazioni possibili: una è la rassegnazione, l'altra è la reazione.

E' ormai usuale constatare, ad esempio durante colloqui con clienti che hanno disturbi di questo tipo, quante persone considerino l'ansia ed i suoi sintomi come qualcosa di infastidente, qualcosa da far tacere, da rimuovere e ignorare, ma mentre nel caso del mal di gola, proviamo ad agire e prevenire prima di ricorrere ai farmaci, contro l'ansia non reagiamo adeguatamente. Anzi, spesso non vedo reazione proprio.

Ignorare il proprio sentire, è il primo atteggiamento malsano che spesso viene emesso da chi, con l'ansia, ha un rapporto diciamo... tormentato.

L'ansia, infatti, prima ancora di indossare le vesti di un disturbo, è nostra amica, è dalla nostra parte e ci avverte di quanto siamo "allergici" a certe cose, situazioni, dinamiche: è un punto di riferimento affidabile e in grado di guidarci lontano da insoddisfacenti e disagevoli contesti.

L'ansia attiva le persone, nei casi più gravi le allerta. Sarà la modalità che adotteremo nel gestire queste emozioni, poi, che farà la differenza.

Rimandare, rimuovere queste sensazioni senza comprenderne il significato e senza intervenire sulla questione,  può condurci verso problematiche più complesse.

In termini scientifici, l'ansia è un'emozione che si sviluppa dalla paura, potremmo grossolanamente definirla una forma di paura irrazionale, dove      l' irrazionalità risiede principalmente in certi pensieri, spesso ridondanti e nell'atteggiamento che emettiamo quando entriamo in contatto con questo sentire.

La paura, invece, è un'emozione primaria, che insieme a felicità, tristezza, disgusto, rabbia e sorpresa, fa parte delle sei emozioni dette “di base”, ovvero quelle dalle quali tutte le altre si originano, ramificandosi, diversificandosi ed assumendo le varie sfaccettature che tutti conosciamo.

Le emozioni primarie, come la paura, sono così chiamate in quanto ritenute universali, ovvero le stesse per tutti gli esseri umani (e rinvenibili anche fra i primati superiori) indipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla scolarizzazione o dalla cultura di appartenenza e innate, perché non apprese attraverso l'ambiente.

Forme più evolute di emozioni, invece, sembrano presenti solo fra gli esseri umani, sviluppatesi parallelamente ad abilità cognitive più raffinate (come il linguaggio e il pensiero) e suscettibili di variazioni interpretative a seconda di vari fattori tipo l'ambiente e la cultura di appartenenza.

L'emozione della paura, universale ed innata quindi, ha uno scopo essenziale alla sopravvivenza.

Questa, infatti, permette al corpo di azionarsi (fuga o attacco) o di paralizzarsi (immobilità) in tempi rapidissimi grazie all'utilizzo di due vie di processamento dell'informazione, una sottocorticale e l'altra corticale.

Dalla via sottocorticale, infatti, le informazioni vengono trattate in maniera più grossolana ma più veloce, nell'arco di millisecondi, in pratica non siamo ancora in grado di capire ma siamo già pronti a reagire.

Questa via, infatti, evita di dipendere dal processamento dell'informazione a livello corticale (che comunque avviene parallelamente), che causerebbe un aumento dei tempi di reazione, diminuendo le probabilità di successo.

Derivando dall'emozione della paura, il compito originario dell'ansia, quindi, non è quello di ledere, bensì quello di preparare a fronteggiare una situazione potenzialmente dannosa che, oggigiorno non riguarda solo la fuga, l'attacco o il rendersi invisibili al nemico, come accade ancora invece nel mondo animale.

É un indicatore, un campanello di allarme che ci avvisa quando qualcosa cambia, quando qualcosa potrebbe danneggiarci e lo fa invitandoci a prenderne atto.

Ognuno di noi è in grado di riconoscere il suono dell'ansia, del proprio campanello di allarme, un suono che si mostra attraverso la sensazione interiore di irrequietezza, un dialogo interiore che nessun altro può udire.

Supponendo di essere anche mentalmente ben disposti a non ignorare tutto ciò, è esperienza abbastanza comune che suoni di origine esterna abbiano la meglio, sovrastando i suoni provenienti da dentro e distogliendo l'attenzione, rendendoci incapaci di scegliere diversamente.

Nel breve periodo questa scelta potrebbe anche dare buoni risultati ma, a lungo andare, questo atteggiamento, ovvero ritenere di non potersi permettere di ascoltare gli avvertimenti che (mediante segnali “normali” di irrequietezza) l'ansia ci invia, diverrà problematico.

Infatti, continuare su questa strada sarà come chiedere al nostro indicatore di parlare più forte affinché possa essere udito.

É proprio a questo punto che molte persone arrivano in terapia, quando l'ansia, per essere udita e ascoltata, è diventata un suono talmente forte da non essere più né occultabile né trascurabile.

Questo è il momento in cui l'ansia potrebbe diventare un disturbo invalidante.

È così che l'ansia comincia a crescere di intensità, diventando talmente forte da coprire i suoni esterni, trasformandosi essa stessa in un codice rosso.

In pratica, il suono che ci avvisava al bisogno, ignorandolo è come fosse rimasto perennemente acceso, come se si fosse bloccato su “ON” e questo ci espone ad ulteriori conseguenze.

Immobili, stagnanti, forse anche innervositi ma incapaci di cambiare alcunché, diamo ufficialmente il via al generarsi di un loop malsano e tormentoso dove l'incapacità di prendere decisioni fà da padrona nutrendo principalmente quella che ormai riteniamo nostra nemica, l'ansia.

Ma perché mai, sempre più spesso, segnali così importanti vengono trascurati permettendo ad altri “suoni” di distrarci, ingabbiandoci poi in un meccanismo così complicato?

Le risposte sono molteplici, alcune provengono dall'esterno, in primis dalla società stessa da dove provengono esperienze e credenze, l'imprinting ricevuto, il nostro carattere e la nostra personalità; altre motivazioni, invece, sono da ricercare in noi e sulla conoscenza di se stessi.

La mente, il nostro modo di ragionare e quindi i nostri pensieri sono fondamentali nel condizionare il modo in cui vivremo la nostra vita sia in positivo che in negativo: ecco perché una terapia psicologica nel momento giusto può aiutarci a vivere al meglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

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